Legittimità e pulsione
“l’illegalità è così diffusa e generalizzata perché i poteri hanno smarrito ogni coscienza della propria legittimità. Per questo è vano credere di poter affrontare la crisi delle nostre società attraverso l’azione – certamente necessaria – del potere giudiziario: una crisi che investe la legittimità non può essere risolta solo sul piano del diritto. L’ipertrofia del diritto, che pretende di legiferare su tutto, tradisce anzi, attraverso un eccesso di legalità formale, la perdita di ogni legittimità sostanziale”. Giorgio Agamben, Il mistero del male, Benedetto XVI e la fine dei tempi, Laterza 2013
Prendo spunto dal brano sopra citato, da poco uscito, per una considerazione: Agamben afferma che non è solo sul piano del diritto che si affronta la crisi di leggittimità. Nel libro l'autore opportunamente distingue legalità da legitimità e aggiunge che è quest'ultima ad essere in crisi. Quell' ipertrofia di cui Agamben parla si produce per effetto compensativo.
Come nei vasi comunicanti, con il prosciugarsi del vaso del primo diritto, quello cioè applicabile antecedentemente o indipendentemente dal secondo diritto (quello statuale), il vaso del diritto costituito dall'ente sovra-individuale si gonfia a dismisura. La sovrapproduzione di leggi, la sua articolazione in ambiti diversi quali regioni, enti sovranazionali e internazionali, a cui si aggiungono anche le nuove authority; crea complicazioni e contraddizioni spesso difficilmente risolvibili. Da ciò la perdita di legittimità; quando un ente promana leggi per diritti non più esigibili, perde la possibilità di occupare legittimamente quel posto. L'abdicazione della propria individuale capacità di iniziativa giuridica a porre rapporti validi, l'auto esclusione a vivere soprattutto del permesso negativo, va a scaricarsi sull' aspettativa, sempre più spesso delusa, che tocchi all'ente sovra-individuale il compito supplire a questa inerzia. Non i poteri astratti e sovra-individuali dovrebbero ritrovare la coscienza della propria legittimità, cosa impossibile nelle condizioni in cui si sono e sono stati posti, ma i soggetti dovrebbero riprendere l'iniziativa e ri-pensarsi come fonte di quella particolare e universale legge che Freud ha chiamato Pulsione.
La formula di questa legge di moto è descritta da Freud stesso in "Pulsioni e i loro destini" (1915), che lo psicoanalista Giacomo Contri ha rielaborato in uno dei suoi ormai molteplici scritti: "Il Pensiero di Natura."